Restituire l’Olimpichetto: la forza di un cantiere condiviso

Restituire l’Olimpichetto: la forza di un cantiere condiviso
Dopo decenni di silenzio, l’Olimpichetto è riemerso fragile e meraviglioso. A restituirgli voce sono stati i nostri allievi, in un cantiere di mani e saperi che ha trasformato un manufatto dimenticato in una rinascita condivisa. Un viaggio dentro la cura, la materia e la forza del lavorare insieme.

Le scenografie teatrali rivestono un ruolo fondamentale in ogni spettacolo, contribuendo in modo decisivo alla narrazione, all’atmosfera e all’impatto emotivo sul pubblico. Non sono semplici elementi visivi, ma parti vive della drammaturgia: creano l’ambiente simbolico e fisico in cui l'atto drammatico prende corpo e l’immaginazione trova coordinate d'esistenza. E noi vicentini lo sappiamo bene, dal momento che tra le scenografie più celebri al mondo rimane, immutabile, la straordinaria “scena” del Teatro Olimpico di Vicenza, capolavoro di illusionismo prospettico ideato da Vincenzo Scamozzi per l’inaugurazione del teatro nel 1585 con l’Edipo Re — un’architettura che da oltre quattro secoli si erge, con tutto il suo teatro e tra tutti gli altri, a monumento permanente alla cultura classica.

Nel 1948, sull'onda della rinascita e dell'orgoglio, di quella meraviglia nacque una copia in scala lievemente ridotta: l’Olimpichetto. Proscenio errante pensato per portare Vicenza nei teatri del mondo, univa la tradizione classica all' effervescenza costruttiva del dopoguerra, in una combinazione del paradigma antico con l'innovazione dei materiali leggeri — polistirolo, cartapesta, tele trattate e strutture lignee. Non un’opera d’arte autonoma, ma una scenografia mobile, pensata per essere smontata e rimontata con rapidità e praticità, per trasportare intatto il suo potere evocativo in giro per l'Europa.

Poi il silenzio. Dopo decenni di oblio in un deposito comunale, l’Olimpichetto è riemerso come un testimone dimenticato del genio vicentino: un manufatto fragile, ma di toccante valore artistico e documentario. Da questa riscoperta è nato il progetto di manutenzione e valorizzazione affidato alla scuola di restauro ENGIM, sotto la guida della restauratrice Alessandra Sella e il supporto della docente decoratrice Umberta Trevelin, con l’obiettivo di restituire leggibilità, stabilità e dignità a un’opera tanto complessa quanto preziosa.

Al momento del ritrovamento, l’Olimpichetto mostrava i segni evidenti del tempo e dell' utilizzo stesso. Le superfici pittoriche erano coperte da un diffuso deposito di polvere, che ne velava colori e dettagli; l’ammanitura gessosa presentava sollevamenti e piccole cadute di colore, in aree a rischio di perdita più estesa. Le tele, collocate nel livello più profondo della prospettiva scamozziana e parte integrante dell’apparato del proscenio, risultavano rilassate, con tagli e lacerazioni che avevano compromesso la continuità del supporto e creato deformazioni localizzate. Le strutture lignee, segnate da cedimenti e residui di attacchi biologici, richiedevano delicate operazioni di pulitura e disinfestazione. Le parti aggettanti modellate in polistirolo e cartapesta — cornicioni, capitelli, statue ornamentali — erano tra le più provate: la fragilità del materiale aveva prodotto lacune, perdite di volume e indebolimenti diffusi, che hanno reso necessari interventi di ricomposizione e consolidamento. Il complesso appariva dunque segnato, ma non vinto: un insieme ancora leggibile, che chiedeva di essere compreso prima ancora che restaurato.

È da questa fragile condizione che ha preso vita l’intervento degli allievi ENGIM, diciassette studenti selezionati impegnati in un lavoro che ha unito rigore tecnico e spirito di collaborazione. Ognuno di loro è diventato responsabile di una serie di elementi dell’opera seguendo con attenzione ogni fase del recupero, dalla pulitura al consolidamento, fino alla reintegrazione cromatica, documentando tecnicamente ogni fase con il supporto della docente Tecla Doria Nicosia. Sotto costante supervisione, ogni studente ha operato con la massima cura, coinvolgendo competenze e risorse dell'intero corpo di tecnici. Ne è nata una vera e propria coralità operativa, dove ogni intervento si inseriva armoniosamente nel lavoro degli altri, in un dialogo continuo di mani, occhi e menti uniti da una missione comune.

La direzione generale è stata condotta con rigore e precisione: una legenda di ruoli, colori e materiali ha garantito coerenza visiva e uniformità cromatica su tutto il complesso, evitando dissonanze e interpretazioni. Nel tempo record di un solo mese, questo cantiere è diventato un esempio di efficienza e passione condivisa: un organismo vivo, dove il sapere tecnico si è intrecciato con la fiducia reciproca, e ogni dettaglio è stato trattato con rispetto e dedizione.

La manutenzione dell’Olimpichetto apre così una riflessione più ampia sul valore e sulla complessità della conservazione delle opere polimateriche, dove convivono materiali tradizionali e industriali, ciascuno con le proprie fragilità e limiti. Intervenire su manufatti di questo tipo significa affrontare non solo problemi tecnici, ma questioni di principio: fino a che punto intervenire, con quali criteri, e con quale grado di reversibilità. In questo senso, l’esperienza della scuola ENGIM rappresenta un laboratorio esemplare, in cui la manualità diventa pensiero, la tecnica si fa cura, e il restauro si trasforma in un gesto consapevole di conoscenza.

L’Olimpichetto tornerà presto visibile al pubblico nella Basilica Palladiana, dove sarà presentato nell’ambito della mostra annuale: un’occasione per restituire alla città non solo uno splendido frammento del proprio patrimonio, ma anche il frutto di un’esperienza formativa che ha unito generazioni e saperi e speriamo poi anche persone e culture, restituendolo al suo scopo originale. 

Nel suo ritorno alla luce, l’Olimpichetto non racconta soltanto la rinascita di un’opera, ma l’esperienza di chi l’ha vissuta da vicino: lo stupore, la cura, la forza silenziosa dello scoprire, del pensare e del fare insieme. Ogni momento è stato raccontato e raccolto — in immagini, parole, video, segni — per condividere con la città non solo ciò che è stato fatto, ma ciò che è stato sentito.
Presto tutto questo diventerà un racconto visivo e corale, un invito ad entrare nel cantiere dell’emozione, dove la materia si fa arte e l'arte torna a farsi vita.
Perché l’Olimpichetto non è solo qualcosa da guardare, ma da riscoprire — insieme.
La scena è pronta, sipario!

 

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